SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE E DIETA LOW FODMAP

La sindrome dell’intestino irritabile (IBS, Irritable Bowel Syndrome) è un disturbo gastrointestinale funzionale, ovvero si caratterizza per la presenta di un disturbo in assenza di un danno d’organo strutturale. Per questo motivo la diagnosi viene effettuata sulla base della sintomatologia del paziente, in quanto gli esami diagnostici falliscono nell’individuare una causa organica (cosa che invece avviene per altre patologie a sintomatologia gastrointestinale quali la celiachia o le malattie infiammatorie croniche intestinali). Tra i disturbi gastrointestinali funzionali, la IBS è il più diffuso e colpisce circa il 15% della popolazione mondiale; è più comune nelle donne ed ha un picco di insorgenza tra i 20 ed i 50 anni.

Le cause che portano allo svilupparsi di questo disturbo non sono ancora note ma sembrano essere multifattoriali. I fattori causali ipotizzati sono:

  • Alterata motilità gastrointestinale
  • Ipersensibilità viscerale
  • Disaccoppiamento della comunicazione intestino-cervello
  • Infiammazione cronica di basso grado a livello intestinale
  • Attivazione del sistema immunitario
  • Alterazione del microbiota intestinale
  • Aumentata permeabilità intestinale

Questi possono a loro volta essere causati da altri fattori, in primis lo stress. Non è un caso, infatti, che la IBS abbia una maggiore prevalenza nei paesi sviluppati, dove sappiamo che lo stress risulta ormai accompagnare le nostre giornate.

I principali sintomi della sindrome dell’intestino irritabile sono:

  • Dolore addominale inferiore
  • Alterazioni dell’alvo (costipazione, diarrea o alternanza dei due)
  • Gonfiore addominale (sensazione di gonfiore interna)
  • Meteorismo eccessivo
  • Distensione addominale (aumento visibile della circonferenza addominale)
  • Sintomi sistemici (spossatezza, emicrania, dolori muscolari…)

I sintomi si manifestano in modo intermittente, e la severità varia da individuo a individuo. Pur non essendo una patologia letale, i sintomi si ripercuotono ed impattano fortemente sulla qualità della vita dei pazienti, che spesso non riescono a condurre una vita normale e si sentono costretti a ricorrere all’utilizzo di anti-depressivi.

Ad ogni, non esistono esami strumentali per diagnosticare la sindrome dell’intestino irritabile, ma questa viene fatta dal medico curante o gastroenterologo sulla base della sintomatologia del paziente ed utilizzando i Criteri di Roma IV. Secondo tali criteri per poter classificare una sintomatologia come IBS il dolore addominale deve essere presente almeno 1 giorno a settimana da almeno 3 mesi e deve essere associato a due o più dei seguenti sintomi:

  • Miglioramento alla defecazione
  • Alterazione della frequenza dell’alvo
  • Alterazione nella consistenza delle feci
  • Inizio della sintomatologia da più di 6 mesi

Per la diagnosi di IBS possono però essere richiesti esami ed analisi, volti ad escludere la presenza di altre patologie che possono avere sintomatologia simile (celiachia, malattie infiammatorie croniche intestinali, endometriosi, cancro…).

Sulla base dei sintomi predominanti, la IBS può essere classificata in una delle 4 forme identificate:

  • IBS-C: costipazione prevalente
  • IBS-D: diarrea prevalente
  • IBS-M: mista
  • IBS-U: non classificabile nelle categorie precedenti

Sebbene l’IBS sia una condizione relativamente comune, spesso non viene diagnosticata. La sottodiagnosi viene definita come “effetto iceberg” per cui vi sono più casi di IBS non diagnostica che diasgnoticati. Si pensa che solo 1/3 dei casi sia stato formalmente diagnosticato. Tale sottodiagnosi è un problema in quanto il paziente subisce gli effetti negativi della sindrome sulla qualità di vita senza poterli risolvere: i pazienti si sentono spesso ansiosi, frustrati e alla ricerca di una causa organica per i loro sintomi, che in realtà non esiste. Spesso, inoltre, si sentono dire da figure sanitarie che i sintomi sono emotivi o psicologici ma non reali, esacerbando ulteriormente lo stato ansioso.

Opzioni terapeutiche

Ad oggi, non essendo nota la causa, non esiste una cura per la sindrome dell’intestino irritabile: i trattamenti si basano sulla riduzione della sintomatologia mediante interventi dietetici mirati, utilizzo di medicinali, probiotici o fitoterapici e supporto psicologico.

In merito al trattamento dietetico, l’opzione più efficace è sicuramente la dieta FODMAP, che rappresenta ad oggi la principale strategia dietetica utilizzata per ridurre la sintomatologia nei pazienti affetti da IBS. Tale protocollo è stato ideato dalla Monash University ed è una dieta ad esclusione che risulta essere efficace nel 75% dei pazienti con IBS.

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I FODMAP(Fermentable, Oligo- ,Di-, Mono-saccharides And Polyols) sono zuccheri che, a causa della loro struttura chimica, non vengono completamente digeriti o assorbiti a livello intestinale, e giungono quindi a livello del colon inalterati; qui richiamano acqua e vengono fermentati (“digeriti”) dai batteri residenti (il famoso microbiota intestinale). Questo processo determina una eccessiva produzione di gas che, insieme all’acqua, porta ad una elevata distensione della parete intestinale. Nei soggetti con IBS questa distensione viene percepita in modo amplificato (a causa della maggiore “sensibilità” intestinale determinando quindi forti dolori e sensazione di gonfiore.

I FODMAP possono essere classificati in 5 diverse categorie:

  • Lattosio
  • Polioli
  • Galatto-oligosaccaridi (GOS)
  • Eccesso di fruttosio
  • Fruttani

Ad eccezione del lattosio, tutti gli altri FODMAP sono contenuti in alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, cereali, legumi). Il contenuto di questi zuccheri varia però da alimento ad alimento, sia in termini di quantità che di tipologia: in alcuni a prevalere saranno i fruttani, in altri i polioli e così via. Sulla base della quantità (e della tipologia), la Monash University ha classificato gli alimenti in “alimenti ad ALTO contenuto” ed “alimenti a BASSO contenuto” di FODMAP.

Il protocollo FODMAP si compone di 3 fasi:

Eliminazione: consiste nella eliminazione/riduzione di alimenti ad alto contenuto di FODMAP per un periodo variabile di 2-6 settimane, fino a quando non si ha una riduzione sensibile dei sintomi

Reintroduzione: gli alimenti sono gradualmente reintrodotti per valutare la tolleranza dell’individuo a ciascuna tipologia di FODMAP. È possibile infatti che un soggetto sia sensibile ad un tipo di FODMAP e non ad un altro. Questa fase è estremamente importante perché permette di andare ad individuare la “causa” dei sintomi

Personalizzazione: la dieta viene personalizzata sulla base delle risposte ottenute nella fase di reintroduzione

A differenza di quando si pensi, la dieta FODMAP non è una dieta di eliminazione! Certo, nella prima fase si ha una eliminazione di alcuni alimenti, ma il fine ultimo della dieta è REINTRODURRE quanti più alimenti possibili senza il manifestarsi della sintomatologia fastidiosa! Per questo motivo è importante essere seguiti da uno specialista al fine di evitare carenze dietetiche o di eliminare inutilmente intere categorie alimenti a cui non si è in realtà sensibili, riducendo di conseguenza la varietà della dieta!

È importante ricordare che la sindrome dell’intestino irritabile è una condizione “mutevole” nel tempo: la tolleranza agli alimenti può infatti variare! Per questo è importante periodicamente provare e ri-testare alimenti che sono stati esclusi e valutare se possono essere reintrodotti.

La dieta FODMAP risulta essere efficace nel ridurre i sintomi del 75% dei pazienti con IBS. Purtroppo, il rimanente 25% necessita di altre terapie volte a ridurre la sintomatologia (farmaci, psicoterapia, altre strategie dietetiche).

A questa può poi essere associata una adeguata integrazione con probiotici, volta a migliorare la composizione del microbiota intestinale.

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Dr. Andrea Piscicelli,
Biologo Nutrizionista • Nutrizionista Sportivo
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